A cura  Maurizio Ercolani e Stefano Marconcini

All’alba della sottoscrizione definitiva del nuovo CCNL cerchiamo di analizzare quello che ancora bisogna risolvere e quello che c’è da costruire in vista del prossimo contratto, non solo da un punto di vista “contrattuale o sindacale”, ma anche da un punto di vista di crescita professionale, verso una vera evoluzione dell’Infermieristica come “Scienza”.
Il passaggio da collegio IPASVI a OPI (Ordine delle Professioni Infermieristiche determina sicuramente un momento importante nella storia dell’Infermieristica. Ma non analizzare il presente, considerando  questo momento come punto di arrivo e non di ripartenza dello sviluppo professionale iniziato nel 1994 con la marcia di 50mila è sicuramente ciò che i nostri colleghi non vogliono, non devono e non possono desiderare. Tante sono ancora le criticità che  investono la professione e ci chiedono una riflessione, oggi, per costruire il nostro futuro. Uno degli slogan di quel 1° luglio 1994 fu “Signor dottore ho commesso un gran reato, ho pensato, ho pensato”. Oggi con l’approvazione della Legge 3/2018, meglio conosciuta come “Legge Lorenzin”, ci poniamo a pieno diritto nell’olimpo delle professioni intellettuali.  24 lunghi anni per ottenere finalmente il diritto a pensare.  Eppure, questo momento, importante, ma non esaustivo, non è concepito da tutti I colleghi nella stessa maniera. E proprio questo rischia di identificarlo come punto di arrivo. N   elle unità di degenza ci si rende conto facilmente che il passaggio da uno status sociale che ci vedeva considerati alla stregua di ausiliari dell’arte medica, a professionisti autonomi e responsabili ancora non è avvenuto. E purtroppo non è avvenuto nelle menti dei nostri colleghi, che ancora non si sentono tali. E questo loro sentire passa velocemente, serpeggia  nei corridoi delle corsie, nelle menti dei giovani colleghi, rendendo ancor più spaventoso il futuro. La massiccia presenza di personale medico nei nostri corsi di formazione, unita a questo malcelato malessere di colleghi che in primis non rivendicano il loro essere Infermieri, crea un vissuto emotivo nei giovani che si affacciano alla professione a dir poco devastante. Il sentirsi  ausiliari dei medici è l’unica realtà che possono vedere davanti a loro. La  Criticità maggiore oggi, che ferma la nostra professione verso riconoscimenti sociali, verso nuove competenze (non rubate ai medici, ma evolute dalle nostre autonomie), verso ambiti e bisogni che la società ci chiede di dare risposta, come l’infermiere di comunità, di famiglia, specialista, ecc.… siamo NOI.  Siamo noi con la nostra FRAGILITA’ del quotidiano, con la nostra non adeguatezza, con la nostra difficoltà ad approcciarci ad una formazione “diversa” da quella tecnica del saper fare o da quella medicistica, noi con il nostro non qualificarci come Infermieri, noi con il nostro non sentirci fratelli (o meglio sorelle, data la preponderanza delle colleghe). Un’altra grandissima criticità, che rallenta lo start up verso un evoluzione della professione infermieristica è la mancanza ancor ‘oggi di un linguaggio standardizzato condiviso con l’utilizzo delle diagnosi infermieristiche per contestualizzare il problema assistenziale con una terminologia  scientifica, coerente con gli standard internazionali e la legislazione vigente. Non dimentichiamoci quanto riportato dalla 251/2000 art. 1 (metodologie di pianificazione per obiettivi dell’assistenza)  e quanto riportato dalla 24/2017 conosciuta come legge Gelli che stabilisce che gli esercenti le professioni sanitarie devono erogare cure sicure e secondo standard, linee guida e procedure che rappresentino evidenze scientifiche………..                                                                                                                                                                                                  Certamente la nostra vicinanza, fisica ed emotiva, alle persone che assistiamo ci pone un freno all’essere considerati  “ ‘O Professore come il medico”, ma questo deve diventare il nostro punto di forza. L’essere vicino alla persona, che soffre, che cresce, che attraversa un momento difficile del suo percorso, che ha bisogno di essere indirizzata… deve diventare il perno del nostro agire. Ma dobbiamo dare a questo perno il valore che merita. In una società di anziani, di malattie cronico degenerative, di disagio sociale e disabilità fisiche non è più il trattamento immediato della malattia ad essere importante….  Ma il prendersi cura…. L’assistere…. Lo stare vicino…. Il prevenire…        Se noi per primi crediamo in ciò, noi saremmo il miglior veicolo di questo messaggio verso le persone che assistiamo, che capiranno così che non a tutto si può rispondere con il farmaco, con l’intervento chirurgico, con la radioterapia… ma a tutto si può rispondere con l’esserci, lì e per loro. Molti colleghi vivono il demansionamento come vincolo nato da obblighi giuridici o contrattuali. Il demansionamento deve essere visto nella sua forma peggiore, più distruttiva… il demansionamento è il non poter fare per la persona assistita ciò che sappiamo sia necessario fare. Il demansionamento è il gesto ripetuto, è il prelievo inutile, è la rilevazione della temperatura tre volte al giorno, è la compilazione di fogli, fogli, fogli, fogli….  Il demansionamento è anche non poter organizzare il proprio lavoro in autonomia, il non poter decidere, date le risorse a disposizione, come articolare l’assistenza. Non poter decidere chi fa che cosa e come. Non è demansionamento fare un letto occupato oppure una pratica igienica ad una persona non autosufficiente. Demansionamento è non poter decidere come, quando e chi lo fa.  Deve essere l’Infermiere, autonomo e responsabile dell’assistenza, a decidere se “Mario” deve essere accudito da un Oss, due Oss, un Oss ed un Infermiere… nessun altro. Nessun piano di lavoro, nessuna imposizione, nessuna prescrizione… Questa rivendicazione può far crescere i colleghi e la professione. Non è evitando la “padella” che si cresce… ma rivendicandone l’utilizzo consapevole e ragionato. Solo cosi il medico capirà che non siamo un oggetto collegato ad essa (la padella) ma un cervello che decide come utilizzarla per il meglio dell’assistito. Così potremmo rivendicare, dimostrandolo, la necessità di avere personale di supporto e personale qualificato, che siano in grado di dare risposte diversificate ai diversi bisogni ed alle diverse persone che quotidianamente affrontiamo.

Per il domani abbiamo bisogno di un:

  •  Infermiere più competente, esperto, avanzato, conscio del suo posto (vicino all’assistito) ed orgoglioso del suo operato….
  •  Infermiere che utilizza un proprio linguaggio, in grado di definire il problema dell’assistito, della famiglia e della comunità con un linguaggio scientifico e condiviso il tutto il mondo…………..
  •  Infermiere di famiglia e di comunità su tutto il territorio Nazionale,  per  rafforzare le cure primarie fondamentali per spostare l’assistenza nei luoghi di vita dei cittadini…
  •  Infermiere che possa rivendicare il suo ruolo nella sanità, nel sociale, nelle scelte politiche e nella formazionee ricerca univeristaria universitaria…
  • Infermiere che sin dalla prima linea porti avanti questo futuro, credendoci e sentendolo proprio… come 24 anni fa…

Queste sono le lotte se vogliamo crescere e se desideriamo essere considerati veri professionisti da tutta la comunità.


Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *